Vincenzo Peruggia ruba la Gioconda dal Louvre, perché venga esposta agli Uffizi
Il Lunedì era il giorno di chiusura al pubblico del Louvre. E quel giorno d’AgostoVincenzo Peruggia, imbianchino specializzato in rifiniture di ornato, assunto da una ditta che aveva un appalto dentro il Museo parigino, originario di Dumenza (Varese) ed emigrato giovanissimo in Francia, mise in atto uno dei colpi più famosi del secolo scorso.
Animato, come disse in seguito, da spirito patriottico e senza sapere che Leonardo l’aveva sì dipinto in Italia, ma venduto poi a Francesco I° di Francia, Vincenzo si nascose nel Museo la notte del 20, staccò dalla parete il quadro della Gioconda, appeso fra un Giorgione e un Correggio nel Salon Carré, tolse la cornice, nascose la piccola tela sotto il camiciotto da lavoro e se ne tornò nella stanza d’Albergo dove abitava.
Il furto fu scoperto solo il 22 Agosto, perché gli inservienti, non vedendo più il ritratto, erano convinti che fosse in restauro, o che l’avesse con sé il fotografo ufficiale. Si scatenò una serrata caccia all’uomo. Quando la polizia perquisì i domicili di chiunque avesse avuto a che fare in quei giorni con il Museo, Peruggia nascose la tela in un apposito spazio ricavato sotto l’unico tavolo, sul quale fu scritto il verbale in cui si affermava che lì non era stato trovato niente.
Del furto furono accusati anche Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, sospettati perché avevano rubato dei manufatti di arte iberica, sottratti al Museo da Joseph Géry Pieret. La tela rimase nelle mani di Vincenzo Peruggia per ben 2 anni, quando il collezionista d’Arte fiorentino Alfredo Geri ricevette da Parigi una lettera, firmata da Monsieur Léonard V, in cui si proponeva la vendita del quadro a condizione che venisse esposta alla Galleria degli Uffizi.
Geri si consigliò con Giovanni Poggi, Direttore della Regia Galleria di Firenze e insieme decisero di incontrare Monsieur Léonard, ovvero Peruggia. Era l’11 Dicembre 1913. Si videro nella stanza numero 20 al terzo piano dell’Hotel Tripoli, in Via de’ Cerretani. Geri e Poggi presero visione del quadro, accorgendosi che non era un falso. Con la scusa di verificarne l’autenticità, chiesero del tempo e nell’attesa, Vincenzo se ne andò in giro per Firenze.
Alla fine fu rintracciato, arrestato e processato, scontando una pena che, alla fine, venne ridotta. Il suo gesto fece storia, si parlava anche di ‘peruggismo‘. All’uscita dal carcere trovò un gruppo di giovani che gli consegnò una colletta di 4500lire. Si faceva la fila per un suo autografo su una cartolina della Gioconda. Peruggia poi tornò per lavoro a Parigi e lì morì per infarto, nel 1925.
Francia e Italia concordarono un periodo di esposizione dell’Opera in Italia, prima agli Uffizi a Firenze, poi all’Ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese in occasione del Natale, prima del suo definitivo rientro al Louvre. Questo permise a moltissime persone di conoscerla e ammirarla.
Nel 1914 il quadro viaggiò su un vagone speciale delle Ferrovie Italiane e a Parigi fu accolto dal Presidente della Repubblica francese, insieme a tutto il Governo. Ancora oggi questa storia suscita un particolare interesse, tant’è che la figura di Peruggia è avvolta da un alone di intrigante curiosità, al punto che il compianto Ivan Graziani, nel 1978, gli dedicò la canzone Monna Lisa, proprio per raccontarne la vicenda.