Sono ormai molti gli Ospedali in Italia che in termini di scelta terapeutica, nel contrastare l’infezione da Coronavirus, hanno più o meno adottato una linea strategica comune per quanto riguarda la somministrazione dei farmaci.
In genere, si tratta di farmaci per il trattamento dell’artrite reumatoide (Tocilizumab e Baricitinib), oppure impiegati in ematologia come il Ruxolitinib, ma anche l’Idrossiclorochina, che si usa in reumatologia e che sembra ridurre la penetrazione del virus nelle cellule.
In realtà, gli attuali protocolli sono tutti da considerarsi living, ossia pronti ad essere rimodulati sulla base di quanto poi possa emergere dalle esperienze sul campo. Oltretutto, il Covid-19 è un virus ancora molto giovane, quasi adolescente diremmo. Per cui, come tutti gli adolescenti, ha spesso reazioni imprevedibili. I suoi effetti spesso sono letali in quanto è in grado di colpire tutti gli organi vitali. Ecco perché i pazienti anziani, con patologie pregresse, sono i più esposti al rischio.
Tuttavia, gli effetti positivi di questa immane guerra batteriologica contro il cosiddetto killer invisibile, cominciano a manifestarsi attraverso il raggiungimento di alcuni primi importanti risultati. Continua, infatti, a diminuire il numero dei ricoverati in terapia intensiva e ciò, oltre a ridurre la pressione sulle strutture ospedaliere, mostra che la Comunità medico-scientifica, nonostante lo shock iniziale ed i conseguenti ritardi, è riuscita quanto meno a spuntare le armi al terribile nemico, in attesa però che si giunga al più presto alla scoperta del vaccino.
Intanto, il team scientifico inglese che nel 1996 è riuscito a clonare la pecora Dolly ha fatto di recente un annuncio che ha del clamoroso. Grazie al prelevamento e alla trasfusione di determinate cellule prelevate da giovani volontari in ottima salute, sarebbero in grado di assicurare la cura “miracolosa” attraverso la realizzazione di un’immunità adeguata. Una tesi, comunque, ancora tutta da dimostrare.