Marco Tardelli era un bel tipo, capello lungo e liscio, fisico asciutto, gambe da mezzofondista più che da calciatore, muscoli puntuti, per questo lo avevano respinto il Milan, la Fiorentina ed il Bologna, troppo magro per giocare a football. Brava, invece, la Juventus, che sapendo della proposta interista, aumentò la posta, come accade nelle aste di lusso.
Quando il giovane credeva di trasferirsi a Milano, venne a sapere che la cifra di 950 milioni era stata sborsata dal Club di Agnelli, e quando si trasferì a Torino capì che il tempo delle mele era finito, perché doveva dividere lo stanzone dello spogliatoio con gente come Zoff e Altafini.
Era il tempo della maturazione e, poi, della maturità. Scudetti, Coppe, Nazionale, Mondiale, tutto in fretta. Come, d’altronde, le sue corse da levriero. Anni bellissimi, sino ad arrivare alla Finale contro i tedeschi del 1982. Il resto è la vita dopo il football, la barba ad assumere sembianze e postura da grande vecchio.
E, così, dal pallone sul LagodiComo al calcio nella città della Fiat. Dopo mille partite a marcare gli avversari, ecco la sorpresa conclusiva: «Prima o poi doveva capitare, Myrta mi marca stretto» avrebbe, un giorno, rivelato. A maga Merlino, infatti, doveva pur riuscire l’incantesimo.