È la vittoria della famiglia del calciatore che non ha mai creduto al suicidio
Non è stato un suicidio, bensì un omicidio, come per 35 anni ha sostenuto, inascoltata, la sorella gemella Donata. E per di più dettato da futili motivi. Denis Bergamini, dunque, stella del Cosenza Calcio trovato senza vita il 18 Novembre del 1989, nei pressi di Roseto Capo Spulico, non si è suicidato lanciandosi sotto le ruote di un camion in corsa, ma è stato ammazzato per ordine di Isabella Internò, la fidanzata che non sopportava di essere stata lasciata.
Così ha stabilito ieri sera la Corte d’Assise di Cosenza, che l’ha condannata a 16 anni di Carcere. Terrea in volto, lei ha atteso in Aula la Sentenza, poi si è allontanata rapida da un’uscita secondaria. «Sono innocente» aveva provato a sostenere l’ultima volta prima che i Giudici si ritirassero in Camera di Consiglio, ma nessuno le ha creduto. Nei corridoi, infatti, è risuonata come l’ennesima bugia.
«Quando ho capito che la Giustizia stava arrivando ho pensato a mio fratello» ha mormorato poco dopo il verdetto Donata Bergamini, mentre in lacrime si è stretta ai suoi figli. «Non mi interessa l’entità della pena – ha, poi, ribadito -. Per me la cosa più importante è che sia stato riconosciuto quello che io e mio Padre abbiamo detto fin dall’inizio, che Denis è stato ucciso».
Ora Giustizia è stata fatta. Intanto, da fuori è arrivato l’eco di applausi e cori dei tifosi del Cosenza, che per tutto il giorno sono rimasti in presidio davanti al Tribunale. «Oggi possiamo dire che Denis è stato assassinato» ha, infine, ricordato il Legale di famiglia. Si chiude così una delle pagine più brutte della storia (non solo calcistica) della città fatta di depistaggi, bugie, storture e di inchieste che si sono accartocciate su se stesse.