Il canone estetico della bellezza maschile per eccellenza nonché il massimo manifesto dell’arte del Rinascimento italiano. Almeno così sostengono gli esperti
Sono passati molti secoli da quel lontano 8 Settembre 1504 quando venne inaugurato il David di Michelangelo. Per tutti i fiorentini è un simbolo identitario, un vecchio ‘amico’ che non ci si stanca mai di incontrare, un emblema della città e del carattere dei suoi abitanti.
Questo perché il David, l’eroe biblico che sconfigge il gigante Golia, fu pensato come simbolo della Repubblica Fiorentina che sottrattasi da poco al gioco mediceo era desiderosa di proporre un’idea valente di quei principi di rinnovamento su cui si fondava, come metafora della vittoria del giusto sulla tirannide del più forte.
Naturalmente per un’opera così emblematica ci voleva l’arte di un uomo altrettanto emblematico. Inizialmente furono Agostino di Duccio e Antonio Rossellino a lavorare sull’enorme blocco di marmo, ma abbandonarono entrambi molto presto l’opera, non facilitando certo il lavoro successivo.
Michelangelo ereditò quindi un materiale non perfetto, già abbozzato e pieno di fori e fenditure. La lavorazione era difficile e allo stesso tempo gravata dalle attese cittadine. Il maestro d’altronde si giocava, in un colpo solo, la reputazione e la futura carriera artistica.
Il risultato, nonostante l’usura del tempo, è sotto gli occhi di tutti. L’opera, vista la sua importanza, fu collocata sull’arengario di Palazzo Vecchio, proprio dove oggi troviamo la copia del 1910 e ci rimase per quasi 400 anni, fino al 1873, quando ormai segnata nella sua maestosità, fu trasferita nella Galleria dell’Accademia, dove risiede tuttora.