Figura carismatica si è prodigato nella diffusione della spiritualità
Sono quasi 100 mila, solo in Italia, i buddisti che fanno parte della Soka Gakkai, un’Istituzione religiosa secondo molti (compreso lo Stato italiano che le ha riconosciuto il diritto all’8 per mille), una setta ricca e ramificata in tutto il mondo dai contorni ambigui, secondo i detrattori. Sono, infatti, rimasti orfani del loro Presidente Daisaku Ikeda, morto in Giappone all’età di 95 anni.
Ikeda, dal 1960 sino ad ieri, ha reso la sua Scuola buddista una realtà internazionale con oltre 10 milioni di fedeli in quasi 200 Paesi. E come per tutte le grandi figure spirituali, ma pur sempre umane, la sua filosofia ed il suo impegno sui grandi temi della pace, dell’ambiente e soprattutto di una grande crescita di consapevolezza del genere umano attraverso l’insegnamento del buddismo, non hanno e non avranno giudizi unanimi.
Grande uomo di pace, appunto, o leader dedito al culto della personalità, scrittore e studioso prolifico o instancabile proselitista, candidato al Premio Nobel o miliardario a spese dei fedeli, attivista visionario o persuasore politico occulto, come sempre accade per alcuni sarà stato un liberatore dell’umanità e per altri l’ennesimo spregiudicato uomo di potere a cavalcare la storia.
Ma dove la biografia e il giudizio su Ikeda si fermano, qualche domanda di senso filosofico invece continua a camminare. E cammina qui, nell’estremo Occidente, a migliaia di chilometri di distanza e a più di mille anni da dove tutto è cominciato, nel Giappone del XIII° secolo.