La Pivano, scrittrice, giornalista e critico musicale, è stata innanzitutto una delle più autorevoli cultrici della letteratura americana
Era il 1930 quando Cesare Pavese, assetato di conoscenza e sempre alla ricerca di nuove realtà, si faceva mandare dagli Stati Unitila Spoon River Anthologydi Edgar Lee Masters. Qualche anno dopo Fernanda Pivano, la ragazza allora allieva di Pavese che avrebbe poi tradotto in italiano i più grandi autori della nuova cultura americana, riceve il libro.
Nel Luglio del 1997, Fernanda Pivano detta anche ‘Nanda’, consegna a Fabrizio De Andréil Premio Lunezia per il valore letterario del testo di Smisurata preghiera, succede che il cantante e autore genovese provò, oltretutto, un profondo imbarazzo, poiché fu presentato come «il più grande poeta in assoluto degli ultimi 50 anni in Italia».
La scrittrice, anch’essa genovese, scomparsa a Milano nell’Agosto del 2009, non dimenticò tuttavia di aggiungere che «sempre di più, sarebbe necessario che, invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano».
«Quando Fabrizio trasformò in canzoni alcuni brani dall’Antologia di Spoon River – aggiunse, in seguito, la Pivano– io, che quel libro l’avevo tradotto e fatto conoscere, vi scoprii cose che non avevo mai notato. E le versioni di De André mi parvero, spesso, più belle delle poesie di Lee Masters».
«Chi, se non un poeta, avrebbe potuto arrivare a tanto – ribadì, inoltre, la scrittrice -. Lui, d’altronde, poeta grande lo fu anche nel canto, in quella voce calda, narrante, dai barbagli dorati».
«Un giorno, all’inizio degli anni ‘70, mi telefonò Roberto Danè, il produttore, che mi disse: ‘C’è un musicista che vuol rifare Spoon River, e vorrebbe incontrarla’. Risposi: ‘Chi è?’. Era Fabrizio» svela, ad un certo punto, la Pivano nelle ricostruzioni dei suoi ricordi.
«Amavo La guerra di Piero, ascoltata per caso in un bar, un giorno, che aspettavo Hemingway nei pressi del suo albergo di Nervi. ‘Lei mi prende in giro?’, chiesi a Danè: non ci credevo. E lui me lo portò a casa. Fabrizio era timido, biondo, bellissimo».
«Mi cantò una delle canzoni che aveva tratto da Spoon River – ha, poi, affermato la scrittrice a margine del suo racconto -. Io mi commossi, se ne andò che piangevamo tutti e due. Accompagnandolo all’ascensore, scoprii che aveva lasciato la chitarra sul pianerottolo: ‘Perché non l’hai portata?’, chiesi. ‘Temevo di disturbare’, rispose De André, perché lui, in fondo, era fatto così».