Conservata per secoli a Villa Medici, la bellissima scultura di Galatea fu portata a Firenze nel 1780. L’opera, risalente al II° secolo d.C., raffigura la ninfa marina a cavallo di un ippocampo
I problemi da risolvere in una famiglia numerosa sono moltissimi, pensate allora quanti pensieri avrà avuto il Dio greco Nereo, simbolo del mare calmo e tranquillo, padre di ben 50 bellissime figlie.
Le giovani fanciulle, infatti, erano le ninfe marine del Mediterraneo, le cosiddette Nereidi, che abitavano con i genitori nelle profondità del mare, in una grotta che splendeva d’argento. Le Nereidi erano immortali e di natura benevola. Si spingevano in superficie solo per aiutare i marinai che avevano perso la rotta. Avevano, inoltre, capelli ornati di perle e si muovevano a cavallo di delfini o cavalli marini.
Galatea era una delle figlie di Nereo e nella scultura custodita agli Uffizi (foto in basso), la si vede a cavallo di un ippocampo che, nella mitologia greca, era una creatura con il corpo anteriore come un cavallo e la parte posteriore come quella di un pesce.
Nato dalle onde marine, l’ippocampo aveva una folta criniera e le zampe palmate per poter intervenire a salvare le persone dopo cadute in mare e difendere le imbarcazioni da mostri marini molto pericolosi. Quando Galatea si trovò in pericolo, l’ippocampo cavalcò le onde del mare per andare a salvare la fanciulla, che era minacciata da un gigante spaventoso chiamato Polifemo.
Il ciclope si era innamorato di Galatea, già promessa sposa del bellissimo pastorello appena sedicenne di nome Aci. I due giovani si amavano tanto e non vedevano l’ora di sposarsi. Nonostante le sue promesse d’amore, Polifemo non aveva nessuna speranza con la bella ninfa.
E così, non essendo riuscito ad attirare l’attenzione di Galatea col suono del flauto, si vendicò con i due amanti scagliando un sasso che colpì Aci e lo uccise. In ricordo di quell’amore, Galatea trasformò il suo sangue in una sorgente per poter mantenere vivo il loro legame.