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Il Monastero sfuggì alle soppressioni napoleoniche in quanto l’Imperatore, con un apposito Decreto, riconobbe la Congregazione dei Padri Armeni come Accademia scientifico-letteraria

L’Isola fu anticamente abitata da diverse congregazioni e famiglie religiose, fra cui i Monaci Benedettini e, a partire dal XII° secolo, essendo nella posizione ideale per lo stazionamento in quarantena, in quanto comoda da raggiungere e nello stesso tempo distante dal centro storico, fu destinata a lebbrosario (lazzaretto), gestito dalla Congregazione di San Lazzaro dei Mendicanti, per cui prese il nome da San Lazzaro, il mendicante della parabola evangelica, Patrono dei lebbrosi.
Il Complesso venne abbandonato nel XVII° secolo, ma nel 1717 il Senato della Serenissima permise all’Abate Mechitar di Sebaste, fondatore nel 1700 della Comunità monastica a Istanbul e già costretto a rifugiarsi a Modone, nella Morea Veneziana, dal 1702, di stabilirsi sull’Isola con un gruppo di monaci armeni che erano fuggiti dalla persecuzione turca.
Mechitar ed i suoi 17 monaci iniziarono in quel periodo il restauro dell’antica Chiesa gotica trecentesca che versava in stato di abbandono, fondarono un Monastero e bonificarono l’Isola, che fu poi, successivamente ingrandita di 3 volte, fino all’attuale estensione di 3 ettari.
Poco a poco l’Abate fece costruire il Chiostro e i locali per la Pinacoteca e la Biblioteca multidisciplinare, che, accresciutasi nel corso dei secoli, conta oggi 150 mila volumi, fra cui 4500 manoscritti armeni, alcuni di inestimabile valore storico e culturale,.
Dopo la morte di Mechitar, avvenuta nel 1749, fu costruita una nuova ala nella quale fu installata la prestigiosa tipografia, che nel corso del XIX° secolo pubblicò opere in 36 lingue e 10 alfabeti diversi, oltre alla stampa di opere scientifiche, letterarie e religiose, con traduzioni in lingua armena di capolavori delle letterature europee. L’istituzione dei Padri Armeni Mechitaristi, beneficiò per lo sviluppo dei propri progetti dei lasciti di facoltosi armeni.
All’interno del Monastero si trovano, oltre alla stamperia di fine ’700, una Pinacoteca, un Museo e molti manufatti arabi, indiani ed egiziani, raccolti dai monaci o ricevuti come doni da collezionisti, nonché la mummia egizia del sacerdote Nemenkhet Amon, rivestita di una preziosa reticella di paste vitree policrome.
«L’insegnamento di Mechitar – sostiene Alberto Peratoner, docente di Filosofia e Teologia – assume il fatto che tutta la cultura, come espressione dell’umano, costituisca un valore. Per questo motivo venne incentivato, tra gli stessi padri della Congregazione, un lavoro di elaborazione e produzione culturale a carattere enciclopedico, insieme a un’opera di traduzione di testi di varie discipline e culture, in continuità con la storica letteratura di traduzione della cultura armena».

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