Alla fine del 2022 il nostro Paese contava il 55% di occupate contro il 69% della media europea

Dopo la fuga dei cervelli, la fuga delle mamme. Quando la donna diventa madre, in un caso su 5 smette di lavorare. E si unisce a quel terzo di donne che non lavoravano neanche prima. L’Italia, infatti, è tra i pochi Paesi d’Europa, se non l’unico, in cui chi non è maschio deve ad un certo punto scegliere. O lavora o mette su famiglia. Come se il figlio fosse un ostacolo alla piena indipendenza professionale ed economica della donna.
A ricordarcelo è il recente dossier del Servizio Studi della Camera dei Deputati, dedicato all’occupazione femminile. Inanella solo record negativi. Tutti gap che, tra l’altro, non si sono chiusi per tutto il 2023. Il 18% delle poche lavoratrici, ad esempio, lascia il posto quando arriva un figlio. Oltre la metà lo fa perché non riesce a conciliare la vita di casa con quella al lavoro. Mentre una buona percentuale lo fa per considerazioni economiche, visto il costo della babysitter e la scarsità degli Asili nido.
Per non parlare della differenza in busta paga, a parità di mansioni, con i colleghi uomini. La Direttiva europea, oltretutto, sulla parità retributiva, approvata il 10 Maggio scorso, prevede obblighi di trasparenza e informazioni in materia di retribuzioni. L’Italia dovrà recepirla entro il 7 Giugno 2026, stabilendo i criteri perché sia attuata da tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, a partire da un sacrosanto principio, che prevede che uomo e donna devono essere pagati in modo equo.