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Che l’Italia sia tendenzialmente affetta da esterofilia è ampiamento risaputo

Qualche mese fa il Presidente dell’Accademia della Crusca ha scritto al Rettore dell’Università di Bologna, l’Alma Mater Studiorum, la più antica del mondo, e alla Ministra dell’Università Anna Maria Bernini per l’appello rivolto contro la decisione dell’Ateneo di abolire il Corso di Laurea in italiano di Economia del Turismo presso la Sede di Rimini e di mantenerlo soltanto in lingua inglese.
Sia chiaro, nessuno discute la necessità di aumentare, in Italia, la conoscenza dell’inglese, ormai indispensabile in tutti i campi, anche nella ricerca scientifica, dato che le riviste più prestigiose, in campo medico, matematico, fisico, economico parlano, appunto, la lingua britannica.
Però, come affermano i sottoscrittori dell’appello «la progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario in vista di un futuro monolinguismo inglese, costituisce un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano».
Il problema, in realtà, viene da molto lontano. La pandemia ha solo accelerato e amplificato quello che ogni insegnante vede e riscontra fra studenti di ogni età. Lessico ridotto, scarso dominio della sintassi, competenze di lettura e scrittura in picchiata e, non ultime, prove scritte spesso traballanti.
Chiunque, d’altronde, è consapevole del netto calo delle competenze medie di lettura e scrittura degli studenti, che a volte arrivano ad un Liceo senza aver mai letto un libro per intero. Certo è che all’innalzamento dell’obbligo scolastico non ha fatto seguito il mantenimento di un certo livello con l’italiano.