Il Consiglio apre i negoziati per l’ingresso di Kiev nell’Unione. Zelensky: «Una vittoria per tutti»
L’Accordo che ha dato il via libera ai negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea è stato un trionfo della realpolitik. Lo scoglio, corpulento e scomodo, era solo e soltanto uno: Viktor Orbán. Come aggirarlo? Convincendolo a uscire dall’aula. E così è stato. Il voto all’unanimità che ha sancito il via libera a Kiev e alla Moldavia, è arrivato quando Orbán non era in aula.
Non una fregatura allo scomodo commensale. Il premier ungherese ha, infatti, scelto consapevolmente di non partecipare al voto e di non delegare nessun altro. Alla fine, l’opera di persuasione ha funzionato. «Orbán ha lasciato l’aula in modo costruttivo e concordato in anticipo» ha spigato una fonte dell’Unione. Tutti contenti, o quasi. «È una pessima decisione e l’Ungheria non vuole partecipare a questa cattiva decisione» ha poi detto subito dopo la ratifica, lo stesso Orbán, che più che Totò ha recitato la parte di Arlecchino.
Da un lato non ha scontentato l’amico Putin, dall’altra ha ceduto alle pressioni dei leader europei che per ore hanno lavorato ai fianchi del Presidente ungherese con l’espressione perennemente incattivita e i modi non convenzionali. Riuscendo in un’impresa che sembrava per nulla facile. «Ci sono molte persone con grandi capacità di persuasione nella Sala» aveva detto la Presidente del Parlamento EuropeoRoberta Metsola ad inizio giornata.
Per il resto è stato un vero tripudio. A partire dal Presidente ucraino Zelensky. In mattinata ha tenuto un discorso accorato e in parte duro in videocollegamento, chiedendo ai Paesi dell’Unione di non tradire gli impegni e non fare favori a Putin. «Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato affinché ciò accadesse – ha, infine, ricordato Zelensky – e tutti coloro che hanno aiutato. La storia è fatta soprattutto da chi non si stanca di lottare per la libertà».