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Il problema, apparentemente insolubile, è scegliere il nuovo Sovrintendente

Quello attuale, il francese Dominque Meyer, scadrà nell’estate 2025, quando compirà 70 anniPer il resto, sembra di stare sulla giostra, un giro a testa. Peccato che in ballo, fra i cavallucci, ci sia la più importante istituzione culturale italiana, o almeno la più famosa nel mondo: la Scala di Milano. Secondo il famigerato «Decreto Lissner» diventato nel frattempo Legge, Mayer non potrà essere né confermato né prorogato, anche se la questione è oggetto di disquisizioni legali e la Scala gode di autonomia.
Nel frattempo, si rincorrono voci, articoli, spifferi e pourparler. I nomi sono sempre quelli. In pole resta il Sovrintendente della Fenice, Fortunato Ortombina, che alla Scala ha già lavorato, sa il suo mestiere, piace al Governo ed è un signore liberal, prudente e saggio, forse pure troppo per un Teatro che avrebbe, invece, bisogno di un vero scossone. La riffa della Scala è, però, interessante perché ripropone ogni volta il vero problema della politica culturale italiana.
Logica vorrebbe, che prima si discutesse che tipo di Teatro si vuole, sia dal punto di vista organizzativo che da quello artistico, e poi che si scelgano gli uomini migliori per realizzarlo. Non solo: ancora più grave è il completo scollamento della Scala dalla città di Milano, quando invece Teatro e centro urbano hanno sempre vissuto in simbiosi, rispecchiandosi l’uno nell’altra. Lo si è visto, tra l’atro, durante il covid, quando la Scala è scomparsa anziché diventare quella bandiera identitaria che è sempre stata.